| Note da. programma di sala: Sonate, Suites, Concerti per archi: le forme strumentali per 
antonomasia, al centro del programma che Brixia Musicalis proprone questa sera. 
Vi compaiono i nomi di alcuni tra i maggiori compositori d’epoca barocca, di 
formazione ed origine italiana e tedesca.Innanzitutto Georg Friedrich Haendel (1685-1750), le cui Suites per strumento 
solo o per grandi gruppi strumentali, destinate in alcuni casi all’esecuzione 
all’aperto (si vedano la Musica sull’acqua, come la Musica per i fuochi 
d’artificio), superando i limiti imposti dalle forme di danza (la Suite è 
seguito di forme di danza, almeno in origine), diviene a sua volta modello di un 
genere simbolo del barocco musicale.
 Quindi gli italiani Giuseppe Torelli (1658-1709) e Arcangelo Corelli 
(1653-1713), rispettivamente icone della scuola musicale bolognese e romana, 
entrambi prolifici “creatori” di pagine strumentali, in particolare Sonate e 
Concerti, destinate a diventare modello per le generazioni successive.
 Straordinario violinista, da sempre attento al colore strumentale, non solo del 
suo strumento d’elezione, ma di tutti gli strumenti utilizzati, sia con ruolo 
solistico che non, Torelli licenzia una serie importante di pagine, molte delle 
quali ancor oggi manoscritte, destinate ai grandi complessi orchestrali di San 
Petronio, pervase di quell’interesse, tutto suo, per i brillanti contrasti 
spaziali, dinamici e timbrici. Sono questi i lavori, in cui Torelli, secondo i 
canoni, e soprattutto il gusto della scuola bolognese fin dai tempi di Cazzati, 
sperimenta l’uso dei fiati, della tromba in particolare, quali strumenti 
concertanti.
 Non solo le forme concertanti, ma anche la Sonata a tre (per due violini e basso 
continuo), punto di raccordo, congiunzione fra la polifonia antica e l’emergente 
stile monodico accompagnato, è forma d’uso presso i compositori della scuola 
bolognese già dalle origini.
 Corelli quindi, con le celebri quattro raccolte di Sonate pubblicate tra il 1681 
e il 1695, non inventa nulla, semplicemente porta a compimento, corona il 
percorso evolutivo di una forma “tradizionale”. E i suoi lavori nel genere si 
presentano come modelli perfetti, quanto a tecnica violinistica sempre 
equilibrata, a scelta delle tonalità – preferite quelle che permettono l’uso 
delle corde vuote –, a scelta dei suoni, soprattutto del registro medio che 
permettono di ottenere il miglior rendimento fonico dallo strumento, capace, 
proprio in quel registro, di imitare senza sforzo la voce umana.
 Veniamo così ai Concerti ripieni di Antonio Vivaldi (1678-1741), pagine di 
registro medio, che, pur non raggiungendo l’elevatezza di tono, tipica delle 
composizioni vivaldiane esplicitamente segnate dalla scrittura contrappuntistica, 
non discendono mai al tono lieve di pagine davvero disimpegnate.
 Specificamente RV 117 si apre con un Allegro, alla francese, di tono in certa 
misura austero. Se il Largo seguente ha una configurazione contrappuntistica, 
l’Allegro finale, in forma binaria, è improntato al modello di movimento della 
Sinfonia d’opera.
 RV 157 appartiene al novero dei Concerti parigini, assemblati da Vivaldi nel 
corso di vent’anni; lavori che, nell’insieme, offrono una varietà straordinaria 
di atteggiamenti espressivi e, a più riprese, rendono omaggio alla predilezione, 
propria della tradizione transalpina, per le variazioni su basso ostinato di 
Ciaccona. Non un caso quindi che anche l’Allegro iniziale di RV 157 sia 
costituito da una serie di venti variazioni del genere.
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